CAMPELLO SUL CLITUNNO – Ieri pomeriggio all’auditorium “Alberto Pacifici” di Campello sul Clitunno si è tenuta la presentazione ufficiale della neonata Clitunno Ducato. Una sfilata di autorità, il sindaco di Campello sul Clitunno Simonetta Scarabottini, il sindaco di Spoleto Andrea Sisti e addirittura il consigliere regionale dl PD Stefano Lici, onnipresente a qualsiasi genere di festa, presentazione o inaugurazione che si tiene tra Spoleto, Campello, Castel Ritaldi o Valnerina. Un evento che visto il limitato numero di posti dell’auditorium è stato accessibile a pochi inviatati, ma non ai ragazzi del settore giovanile e alle rispettive famiglie.

Eppure la Ducato Spoleto da sempre fa dell’inclusione e della condivisione dei momenti di festa uno dei principi fondamentali della gestione societaria. A tal proposito si ricorda una presentazione della Ducato Spoleto organizzata in uno dei luoghi più belli dell’Umbria, ovvero al teatro Romano di Spoleto. Per l’occasione un presentatore speciale, ovvero il Presidente Michele Zicavo, che fu un vero e proprio showman coinvolgendo un folto numero di spettatori presenti sugli spalti di un teatro gremito.

Fu una delle presentazioni più belle mai organizzate a Spoleto e sul palco del teatro hanno sfilato tutti dai piccoli della scuola calcio a grandi della prima squadra.

Ora l’evento di domenica ha scatenato un acceso dibattito tra diversi genitori dei piccoli calciatori del nuovo sodalizio. Nessuno però per vari motivi d’opportunità ha avuto il “coraggio” di esporsi e criticare apertamente l’evento e allora una mamma, Fabiana Grullini, ben nota alle cronaca campelline, ha pensato bene di interpretare in un testo pubblicato sul suo profilo facebook un pensiero di malcontento piuttosto diffuso che riportiamo integralmente:

𝐋𝐚 𝐩𝐫𝐞𝐬𝐞𝐧𝐭𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐂𝐥𝐢𝐭𝐮𝐧𝐧𝐨𝐃𝐮𝐜𝐚𝐭𝐨: 𝐮𝐧’𝐨𝐜𝐜𝐚𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐦𝐚𝐧𝐜𝐚𝐭𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐟𝐚𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐢𝐭𝐚̀.

C’è qualcosa di profondamente 𝐬𝐭𝐨𝐧𝐚𝐭𝐨 nella scelta della ClitunnoDucato di presentare la nuova squadra con un evento “𝐩𝐫𝐢𝐯𝐚𝐭𝐨”, a inviti, dentro le mura dell’Auditorium Comunale.

Un tempo queste erano feste di piazza, momenti popolari e autentici, annunciati con un “𝐚𝐜𝐜𝐨𝐫𝐫𝐞𝐭𝐞 𝐧𝐮𝐦𝐞𝐫𝐨𝐬𝐢” che non era solo retorica, ma il modo più diretto per coinvolgere un intero paese. Era lì che anche chi non seguiva abitualmente il calcio dilettantistico poteva sentirsi parte di una 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐢𝐭𝐚̀, scoprire una passione e avvicinarsi a una realtà sportiva aperta e inclusiva.

Il paragone con quello che è accaduto in questi giorni ad 𝐀𝐥𝐯𝐢𝐚𝐧𝐨 è inevitabile: loro hanno portato persino a X Factor il proprio inno, con l’orgoglio di dire “questa è la squadra del nostro paese”.

Ma potrei citare anche numerose altre realtà che in 20 anni a seguire il calcio dilettantistico ho potuto conoscere. Realtà fatte dai 90 minuti la domenica e anche da tutto il resto. Il resto, a Campello, non lo abbiamo più. Il resto che poi è veramente quello che da Valore.
La ClitunnoDucato ha scelto la strada opposta: 𝐜𝐡𝐢𝐮𝐝𝐞𝐫𝐬𝐢 𝐚 𝐫𝐢𝐜𝐜𝐢𝐨, presentarsi a se stessa, parlare solo a chi già la conosce. E questo, necessariamente, nel corso del tempo significa solo una cosa: 𝐞𝐬𝐭𝐢𝐧𝐠𝐮𝐞𝐫𝐬𝐢.

Eppure proprio quest’anno, con la 𝐟𝐮𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐭𝐫𝐚 𝐂𝐥𝐢𝐭𝐮𝐧𝐧𝐨 𝐞 𝐃𝐮𝐜𝐚𝐭𝐨 – un’unione che rappresenta un grande segnale di collaborazione e apertura – c’era l’occasione per dare un respiro più ampio e più popolare all’identità del club.

Un’occasione ancora più simbolica se pensiamo che, per la prima volta, non potremo più varcare i cancelli dello 𝐬𝐭𝐚𝐝𝐢𝐨 𝐂𝐨𝐧𝐭𝐞 𝐑𝐨𝐯𝐞𝐫𝐨 per seguire la squadra. Un momento che va veicolato con intelligenza, apertura e collaborazione. Ma la collaborazione non è mai unilaterale. La collaborazione non è “noi decidiamo tu esegui”.
Altrimenti si chiama 𝐩𝐫𝐞𝐩𝐨𝐭𝐞𝐧𝐳𝐚.

In questa triste storia la vera grande delusione è un’altra: aver escluso dalla presentazione il 𝐬𝐞𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐠𝐢𝐨𝐯𝐚𝐧𝐢𝐥𝐞 e la scuola calcio.
Ci è stato detto che per i ragazzi ci sarà un evento a parte, dedicato solo a loro. Ma questa non è una toppa: è una 𝐩𝐞𝐳𝐳𝐚 𝐩𝐞𝐠𝐠𝐢𝐨𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐛𝐮𝐜𝐨.

Perché i nostri figli, lo scorso anno, non hanno mancato una sola partita: con cori, megafoni e bandiere sono stati il cuore pulsante della tifoseria. E oggi invece vengono tagliati fuori proprio dal momento simbolico della stagione, quello in cui avrebbero dovuto vedere da vicino i loro portacolori. Considerati tutto sommato sacrificalbili quando invece meritavano il posto in prima fila.

Sono loro, i bambini e i ragazzi, quelli a cui 𝐬𝐚𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞𝐫𝐨 𝐛𝐫𝐢𝐥𝐥𝐚𝐭𝐢 𝐠𝐥𝐢 𝐨𝐜𝐜𝐡𝐢 𝐝𝐢 𝐩𝐢𝐮̀, quelli che avrebbero potuto trarre ispirazione, magari sognare di indossare un giorno quella maglia.

E qui bisogna rielaborare il concetto: se ancora oggi ha un senso fare calcio dilettantistico, non è certo per inseguire 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐚𝐮𝐭𝐨𝐫𝐞𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐢𝐚𝐥𝐢. Ha senso perché c’è il divertimento, perché ci sono i valori autentici dello sport, ma soprattutto perché c’è la possibilità di coltivare 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐢𝐭𝐚̀, 𝐚𝐩𝐞𝐫𝐭𝐮𝐫𝐚, 𝐜𝐨𝐥𝐥𝐚𝐛𝐨𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞.

Quando avevo vent’anni e seguivo la squadra, Nicola Brizi mi chiamava, mi coinvolgeva in ogni iniziativa, ascoltava i miei pareri e includeva. A volte mi dava anche informazioni che erano para calcistiche. Ma io avevo il compito di comunicare e tutto serviva per entrare nello spirito della squadra. Quella era la differenza: lo sport diventava il collante sociale di un paese.

Oggi invece ci troviamo davanti all’ennesima, 𝐢𝐧𝐮𝐭𝐢𝐥𝐞 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞𝐥𝐥𝐚 di chi, anche nello sport, preferisce assumere l’atteggiamento da circoletto privato invece che da comunità. E questo, trascinato nel tempo diventa una condanna.

Così la ClitunnoDucato non si è presentata al territorio, non si è presentata alle nuove generazioni, non si è presentata a chi avrebbe potuto scoprirla e sostenerla.

Ha preferito parlare solo ai “𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢”, a chi da anni con merito tiene in piedi gli equilibri societari ma li declina in modo sempre più rigido e incapace di aprirsi a nuove idee e nuove forze. Perchè il futuro non passa solo dagli equilibri societari ma anche dall’attenzione al contesto in cui la realtà si inserisce.

Per questo dispiace dirlo, ma oggi non possiamo più chiamarla la 𝐬𝐪𝐮𝐚𝐝𝐫𝐚 𝐝𝐢 𝐮𝐧 𝐩𝐚𝐞𝐬𝐞. E nemmeno la squadra di due paesi.
È diventata la squadra di pochissimi, sempre meno, di chi non sa o non vuole allargare lo sguardo.

Chissà cosa penserebbero oggi figure come Ludovico Pacifici e Nicola Brizi: probabilmente guarderebbero a tutto questo con amarezza e sdegno.

Direi che questo episodio è il riflesso di un modo di ragionare purtroppo 𝐫𝐚𝐝𝐢𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐧𝐞𝐥 𝐧𝐨𝐬𝐭𝐫𝐨 𝐩𝐚𝐞𝐬𝐞: le cose si fanno per pochi, non per tutti.
Un paese che non è più da vivere e da scoprire insieme, ma che rischia di chiudersi sempre di più.

Ed è un vero dispiacere che questa logica sia arrivata persino dentro il 𝐩𝐫𝐢𝐧𝐜𝐢𝐩𝐚𝐥𝐞 𝐚𝐦𝐛𝐢𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐬𝐩𝐨𝐫𝐭𝐢𝐯𝐨 𝐜𝐢𝐭𝐭𝐚𝐝𝐢𝐧𝐨, quello che più di ogni altro dovrebbe rappresentare apertura, condivisione e orgoglio collettivo.
Speriamo che la società tutta sappia riflettere e cambiare passo, perché Campello merita una realtà sportiva capace di rappresentare davvero 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢”.